La guerra e la pace in un religioso romanzo di famiglie

La scultura de Il cavallo rossoAdriano Bausola è stato un filosofo e accademico italiano, rettore dell’Università cattolica di Milano dal 1983 al 1998.
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Il romanzo di Eugenio Corti “Il cavallo rosso”, (edizione Ares, Milano) fa compiere al lettore un’esperienza del tutto inusuale, tanto è il suo distacco dal mondo dei valori corrente, così diffuso, fino ad apparire addirittura ovvio, nella narrativa del nostro tempo. Anche chi – a livello di visione di vita e di persuasioni morali – non condivida il prevalente “ethos” contemporaneo, quando legge un romanzo di uno scrittore novecentesco si aspetta dai personaggi atteggiamenti ispirati, come se fosse ovvio, naturale, dalla logica della permissività, dell’indifferenza, del silenzio (quando non dell’ostilità) verso la religione. Se un personaggio soffre per ragioni ideali, non ci si aspetta – oggi – che soffra per un conflitto tra l’ideale ed il reale. C’è l’eccezione, è vero, in qualche caso, del conflitto tra ideali “politici” e realtà; ma anche in questo campo si tende sempre più a livellare, a smussare. La sofferenza, in genere, nella letteratura contemporanea riguarda semmai l’incertezza sugli ideali: il non averne, l’averli perduti, l’essere in bilico fra più ipotesi, l’essere esposti alla duplicità, all’ambiguità esistenziale. O l’indifferenza, e un conseguente superficiale edonismo, o la tragicità che deriva dalla consapevolezza sopravvissuta della necessità del riferimento all’assoluto, e dell’incapacità insieme di soddisfarla.

In questo modo, con questi fondamenti teorici, la letteratura contemporanea alimenta potentemente, per sua parte, e in circolo, quella visione (e pratica) di vita che la società, per tante altre vie (dalla filosofia all’economia alla politica, eccetera) offre allo sguardo della letteratura. Questa visione è così potente, che penetra anche in autori cattolici: basta pensare, per fare un nome illustre, a Graham Greene, per il quale un uomo non può essere cristiano che drammaticamente, e mai serenamente, perché l’antropologia è in conflitto con la teologia, e non può non essere in conflitto con essa: l’uomo corrotto dal peccato d’origine vince in qualche modo anche quando la grazia opera in lui, l’ambiguità rimane in tutta la storia: tanto ovvia appare la lezione della cultura dominante, la quale presenta un uomo originariamente senza una legge, sradicato da riferimenti assoluti, tutto terrestre (anche se non necessariamente perciò felice, né oggi né domani).

Il libro di Corti – un romanzo vastissimo, che intreccia vicende individuali a grandi, tragici eventi storici, prodottisi nell’arco di un trentennio, dal 1940 ai primi anni ‘70 – porta in un’altra dimensione: rievoca fatti e ambienti – soprattutto ambienti – di appena qualche decennio fa, ma provoca nel lettore l’impressione di un trasferimento in un’altra epoca storica, addirittura in un altro eone. Un’epoca in cui il dovere – a livello di massa, non di singoli soltanto – era ancora sentito naturalmente come qualcosa cui si può sacrificare il piacere, in cui la fedeltà, la costanza nei sentimenti e negli affetti erano accolte e capite nelle loro ragioni anche da chi non scriveva opere di teologia morale.

Corti, anche se inventa personaggi di fantasia (non tutti, invero) non vuole perciò fare un romanzo di pura invenzione: i suoi personaggi sono calati in un intreccio di eventi e di episodi, alcuni dei quali immani, come la guerra di Russia e d’Africa, la tremenda ritirata della nostra Armir dall’Unione Sovietica, la guerra partigiana e del Corpo italiano di liberazione contro i tedeschi, le tensioni del primo dopoguerra, e via dicendo. L’autore ci fa ad ogni passo capire che quei personaggi sono rappresentazioni concrete di figure ‘umane reali che non erano affatto infrequenti appena quaranta, trent’anni fa, almeno in alcune regioni d’Italia (e la regione privilegiata nel romanzo è la Brianza cattolica e moralmente seria di quarant’anni fa, che non è ancora tutta scomparsa).

Alla concezione dell’uomo come naturalmente religioso e per tanta parte amorale, che oggi prevale, Corti contrappone un’altra, opposta concezione; ma quello che gli preme soprattutto dirci è che questa concezione non è pura utopia, che essa è stata vissuta da tanti, in intere società; che perciò non è ovvio e fatale che la concezione alternativa trionfi, anche se gli scrittori la consolidano, le conferiscono lo ‘splendor formal” o, in subordine, la consacrazione dell’ineluttabilità.

L’autore ci fa partire da una famiglia di piccoli industriali brianzoli di recente affermazione, alle soglie della seconda guerra mondiale: a tarda primavera, quando i ragazzi, studenti, aspettano le vacanze, e la natura volge al meglio; ci descrive la vita di un paese di Brianza, con i suoi costumi, le sue figure tipiche, i modi di vita dei vari gruppi sociali. Ma presto il libro ci immette nella tragedia della guerra, con il suo crescendo di vicende drammatiche che raggiunge un culmine spaventoso nella campagna italiana di Russia, campagna apparentemente poco difficile all’inizio, ed immane tragedia poi, di cui l’autore fu partecipe diretto, ed è ora implacabile ed efficacissimo rievocatore nei suoi innumeri dolori. Le tragedie del fronte sono raccontate in alternanza con le vicende di chi è rimasto a casa, nello stupore per il continuare della vita di tutti i giorni, mentre al fronte nello stesso istante molte vite si spengono: questo porta l’autore all’eterno interrogativo sul perché del male, dell’ineguaglianza nel dolore, ed alla ripresa della risposta cristiana.

Ai tempi della guerra seguono quelli della pace, con i nuovi problemi morali, sociali, politici, che toccarono in questo secondo dopoguerra l’Italia, e, in essa, il piccolo paese Brianzolo di Nomana. Qui il racconto si fa più disteso, spesso affettuoso e sentimentale: ecco delle storie d’amore pulite, incredibili, pensiamo, per tanti giovani di oggi, eppure credibilissime, se inserite in un sistema di tradizioni e di insegnamenti adeguato, come quello che Corti rievoca. Ecco, anche, pagine divertenti sulle piccole lotte paesane di potere – paesane, ma facilmente universalizzabili -, ecco le rievocazioni della vita studentesca milanese all’Università Cattolica, con riferimenti che non sono più tutti di fantasia, e via dicendo.

Il libro – quasi 1.300 pagine – racconta trent’anni di vita di alcune famiglie, nel loro incontro con i problemi di un periodo travagliato; esso non ha una trama marcata, non tende alla “suspense”, eppure si fa leggere tutto con piacere, in primo luogo perché ha una trama di altro genere, teoretica – quell’ideale concezione di cui si è detto – che è anche una sfida inevitabile per il lettore contemporaneo, epperciò coinvolge fino in fondo; in secondo luogo perché Corti possiede tutte le armi del narratore, e le usa pienamente con grande maestria e con autentica passione morale.

(Adriano Bausola, 25/08/83, Avvenire)